nanna lettone

Ti sei addormentato nel lettone, ieri sera.
Vi ho insegnato a dormire nel lettino, quand’eravate piccini. Lo sapete fare, siete indipendenti e dormite sereni nella vostra cameretta bianca.

Lei non vuole dormire con noi neanche in vacanza, neppure il sabato, quando il giorno dopo non c’è scuola. È comoda lì, sul suo pianeta pastello che odora di bimba, tra rose sfacciate e volpi addomesticate.

Tu invece fai sogni brutti o hai improvvisi attacchi di mal-di-qualcosa, vieni aggredito da mostri dispettosi e architetti piani ingegnosi, pur di stare in mezzo a noi.

La nostra regola è che in settimana, salvo influenze o spaventi notturni, ognuno dorme nel suo letto. Ma nel week-end avete il lettone libero, se vi va.

Lei se ne sta lo stesso là, anche se noi le chiediamo di stare con noi, qualche volta. Ma lei vuole il suo baldacchino d’organza e le sue principesse.

Tu invece no, tu non perdi occasione per tuffarti sotto il nostro piumone. Lì ti addormenti soddisfatto, con mezzo sorriso d’amore e mezzo di vittoria, anche se noi veniamo a letto più tardi.

Avverti la nostra presenza, poi, quando veniamo su a sognare. Sorridi e posizioni i piedini. Uno su di me, uno su papà.

È bello dormire con te, tra calci volanti e mosse di karate.

Mi addormento con quel respiro in più, tra noi due. Un concerto estivo di grilli e cicale, tre respiri sotto la stessa coperta.

Il tempo si ferma, allora, per un pochino. Guadagno qualche istante di fermo immagine. È come afferrare un orologio e frantumarlo tra le mani, strappare le lancette e seppellirle nella sabbia, nelle segrete dei castelli che costruite d’estate, con secchiello e paletta.

Poi ogni tanto mi avvicino a te, la notte, schivando pugni e testate. Respiro i tuoi riccioli impertinenti, ti stringo un braccino, sfioro una gambina.

Sconfiggo quadranti e ingranaggi, scanso clessidre e lancette.

E tento di tenerti ancora un po’ piccino.

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