Ogni tanto arriva quel giorno lì.
Torna sempre. Sorge cupo, come uno stormo nero e minaccioso di uccelli hitchcockiani. E mi punta con il radar, sogghignando.
Il giorno del manifesto esistenzialista di una mamma 2.0.
Sono lì, indifesa. Una figurina nera e un po’ gobbina che si staglia piagnucolosa contro il grande quadro neoromantico dell’infinito, accusando il cielo delle proprie immonde sventure.
Oh me tapina, ahi lasso, li mortacci. Eccetera eccetera eccetera. Smarrita nello sturm und drang delle mie lamentele, mi sento un povero esserino derelitto, una mamma immolata al benessere dei propri figli.
Una donna perduta che non può concedersi da mesi un pomeriggio all’Ikea. Una mamma 2.0 smarrita nel labirinto dei propri impegni, con un branco di Minotauri ad attenderla al varco. Ma dove sei Arianna, quando c’è bisogno di te? Me lo vendi un kit di gomitoli di salvataggio? Spedizione Amazon Prime, grazie.
Una femmina emarginata assaltata dai capelli bianchi, che avanzano impettiti come stalloni selvaggi nel West della mia chioma rossiccia.
– Mamma mi porti l’acqua?
– Amore mio, dov’è il mio coltello subacqueo?
– Mamma ho fame.
– Ehi mamma, devo fare pipì.
– Mamma, ho fatto la cacca: mi pulisci?
– Amore, dov’è finita la mia camicia bianca?
Mamma tua madre. Cioè io.
Amore tua sorella.
Me tapina.
Voglio un maggiordomo. Si deve chiamare Ambrogio, deve guidare una limousine bianca e avere il cofano carico di Ferrero Rocher. Perché la mia non è proprio fame, è più voglia di ingozzarmi di cioccolato.
In alternativa può chiamarsi Niles e deve scoccare frecciatine velenose English-style a tutti coloro che mi impediscono di andare a sperperare soldi all’Ikea e all’OVS. Lo shopping online va benissimo, ma a tutto c’è un limite.
Chiamerò il telefono amico per mamme trascurate, denuncerò la mia famiglia ai servizi sociali. Istituirò un club di novelle Giovanne D’Arco, che hanno lasciato le armi per la famiglia. Madri reiette con prole iperattiva che produce eccessive scorie fisiologiche.
Proclamerò leggi rigorose e incontestabili verso non-mariti che vagano senza meta tra le mura domestiche, incapaci di rinvenire la benché minima mutanda fosforescente con microchip incorporato. Inadatti a trovare la giusta rotta verso calzini forniti di tatuaggio di riconoscimento e mappe geografiche proiettate su parete. Niente, qui ci va il richiamo vocale del calzino intelligente.
Marco: – Amore mio, dove sono i miei fantasmini blu?
Calzini intelligenti: – Siamo qui dove ci hai messi tu l’ultima volta, asino!
Silvia, rimembri ancora di quando, lieta e pensosa, te ne andavi tua sponte e per i fattacci tuoi a fare shopping non esclusivamente online? Di quando le shop-girl svolazzanti si libravano intorno a te come amorevoli fatine, con canotte e vestitini di chiffon? Di quando le tue narici si inebriavano di quell’invitante profumo di nuovo?
No, non rammento. Me ne sto qui, nel mio pessimismo cosmico leopardiano, a fissare le scimmiette urlatrici che mi devastano casa. A lanciare occhiatacce al non marito che va a divertirsi al lavoro, che lavora più ore di me, mannaggia a lui.
Sto a lamentarmi con ogni creatura vivente che incontro sul mio cammino, fisico o virtuale. E a intasare le chat delle mie amiche con lagnanze e brontolamenti.
Frigno pure un po’, va’, che così elimino le tossine.
Ma poi arriva la sera gentile, calano le tenebre consolatrici d’affanno. E dopo aver triturato le palle a tutti, dato pizzicotti ai braccioli del divano, scarrozzato in giro bronci vistosi, vado a dormire. Con l’orgogliosa consapevolezza che neanche i personaggi di Charles Dickens possono aspirare alle mie funeste lamentazioni.
E al risveglio, sono di nuovo me. L’altra me, quella sorridente e solare. Dopo una giornata spesa a imprecare, tutto è volato via con la notte.
Mi sveglio presto, scrivo, vado a lavorare, torno sorridente dai miei pargoli rosei e dal mio marito gnocco, che sarà pure un rompiballe ma è un piacere per gli occhi. Preparo la marmellata di pesche, il pesto, una torta di frutta. Mi sento Wonder Woman.
E niente, oggi sono felice. Non posso ancora andare all’Ikea, ma lo farò. Rimando la parrucchiera ancora un altro po’, ma pazienza.
Guardo la mia casa un po’ incasinata, la mia famiglia, il mio giardino.