Ti sei girata verso di me sul terzo scalino, all’ingresso della scuola, stamattina.
Seminascosta da quello zaino ingombrante in cui forse portate anche alter ego, kit di sopravvivenza in caso di invasione aliena, e scorte a vita di elastici rosa.
Mi hai fatto ciao con la manina, con le guance un po’ incerte. Non sapevano se gonfiarsi in un sorriso o calare con gli angoli della bocca, contrariate. Poi sei andata ancora su. Ti sei girata di nuovo e hai mosso di nuovo la mano, con gli occhi che scavavano nei miei.
Cos’hanno visto i tuoi occhi, nei miei?
Probabilmente titubanza, anche se l’idea era di mostrare sicurezza. Perché una parte di me pensava che potevo anche tirarti via e riportarti a casa, per una sola stupida mattina. Perché mi ricordo la mia titubanza, all’ingresso della scuola, ogni giorno, quando la manina che salutava era la mia.
Forse avranno scorto spiragli d’amore, perché anche se ti bacchetto di più perché da te – non so – mi aspetto più più che meno, io ti amo. Sei la prima farfallina che ho sentito svolazzare nelle viscere, quella mattina in riva al mare, con un pancino appena arrotondato e la mano sempre lì, appoggiata contro di te.
Credo abbiano percepito timore, anche. Timore di vederti crescere, allontanare, allungare le gambe verso rami più alti, verso vento, verso stelle. Di non poterti (trat)tenere per mano così a lungo quanto vorrei. Timore che tu cresca troppo in fretta, che tu non mi ritenga poi questo granché, che tu ti accorga che non era poi così bella e capace come credevi, la tua mamma.
Avranno notato un po’ di lucido. Un velo trasparente che luccicava più del solito, di fronte alla tua incertezza, alle riflessioni che scorrevano piano sul tuo viso.
Quando guardi me, quando osservi me, quando affondi nei miei occhi, e quell’armatura di tosta bimbetta autunnale è appesa da qualche parte e non sta indosso a te, smuovi qualcosa di fragile, dentro. E arriva quello strato di lucido a schermarmi gli occhi.
Sicuramente hanno visto fiducia.
Fiducia cieca e incrollabile in quell’immensa forza che covi nella tua esile figurina, nello scatto felino delle tue gambette nervose, nell’ostinata testardaggine che padroneggia quel faccino minuto. Vorrei assomigliare a te, a volte.
Mi fai ciao con la manina, esaspero il labiale per dirti che oggi ti prendono i nonni. Sorridi, sei contenta, benché permanga quel vago e nauseante senso di tradimento nell’aria. Nel mio abbandonarti lì, quando tu invece vorresti stare con me. Tu quoque, mamma.
Si chiudono le porte della scuola e sei dentro. Tu di là e io di qua.
Buona giornata, topina.