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Care mamme sognatrici,

dovete sapere che, quando ancora non ero mamma e svolazzavo con beata incoscienza tra frivole incombenze, mi è capitato per qualche tempo un ruolo molto divertente: la commessa in un negozio di abbigliamento.

Un MERAVIGLIOSO negozio di abbigliamento. Uno di quelli che, appena entri e vieni avvolta da quella nube che profuma di nuovo, già respiri un’impalpabile sciocca felicità. Uno di quelli che, quando entri, la porta è leggera e la vista ubriaca di colori. E quando esci, la porta diventa pesantissima e devi spingere con tutta te stessa per uscire, schiava di un’ineluttabile forza centripeta.

Lì dentro – Becky Bloomwood docet – inspiri luce ed espiri grigiume. Un polmone verde per il tuo umore, come la Foresta Amazzonica per il nostro pianeta. Mi succede ancora, qualche volta. Respiro quell’odore di futilità e sorrido, dimentico per un attimo preoccupazioni e realtà.

E ora che i miei bimbi crescono e mi danno più spazio, ora che riesco a incontrare la parrucchiera senza una ricrescita alla Maga Magò, ora che ogni tanto mi ricapita di entrare in un negozio da grandi, ripenso alla prima volta in cui ho accompagnato il mio capo a scegliere un campionario. Altro che Sex and the city. Altro che Carrie Bradshaw.

E sono di nuovo lì, per qualche istante, con la mente. Oggi torno indietro nel tempo.

Entriamo dapprima in un normalissimo ufficio. Salutiamo e il mio capo mi presenta alle varie rappresentanti. Alla mia sinistra c’è una scalinata di legno. Dopo i soliti convenevoli, ci dirigiamo verso la scala e iniziamo a scendere.

Scendiamo e scendiamo. E mille colori luccicosi iniziano ad accecarmi, ferendomi gli occhi. Un policromo universo sfocato si apre pian piano. Stringo le palpebre e ascolto, devota.

Un sommesso brusio arriva dai vari uffici del piano seminterrato. Come una preghiera, come un rosario recitato nella cattedrale della moda.

Scendo lentamente in questo girone di lussuria modaiola e già il mio sguardo è pericolosamente incollato a piramidi di scarpe colorate. Stiletto, ballerine, sneakers, francesine e tronchetti occhieggiano vanitosi. No, non sono uffici normali. Anziché essere separati da pannelli o muri, sono delineati da carrelli traboccanti di vestiti, borse, fusciacche, lusso, cinture, paillettes, colori. La mia mascella si srotola in una smorfia di incontrollato stupore. Questo deve essere il Paradiso. Eppure credevo si dovesse salire, non scendere.

Come descrivere quello che provo avvolta da quell’inebriante atmosfera di rassicurante superficialità? L’aria è così vibrante e leggera e lucente. Credo che non ci si abitui mai a una tale inondazione di bellezza. Persino il mio capo, che lavora da tutta la vita in questo campo, sembra lievemente stordito dall’alto tasso di meraviglia che satura il seminterrato.

Ci sediamo al tavolo, in trepida attesa della rappresentante. Intanto ci chiedono cosa possiamo gradire. Il mio capo riceve cappuccio e brioche, io caffè e una mini bottiglietta di acqua San Bernando frizzante. Io qui ci pianto qualche picchetto e una canadese.

Poi la rappresentante inizia a esporre i 2000 tipi differenti di pantaloni e noi facciamo una prima scrematura. La ragazza mette i pezzi scelti su un carrello. Si passa dunque alle gonne, alle maglie, alle t-shirt, alle canotte, alle camicie, agli abitini… Le mie orbite oculari tendono a scivolare via dalla loro sede naturale, e decido in quel momento che voglio lavorare nella MODA.

Arriva il momento di testare tutte quelle meraviglie, per saggiarne la vestibilità. E chi deve indossare tutti questi capi? Sì, IO. Io sfarfallo avanti e indietro dalla toilette, per indossare ogni singolo pezzo. Sono ESTASIATA. Cerco con scarsi risultati di darmi un contegno.

Giunge l’ora del pranzo. Mi siedo accanto alla scrivania e ordiniamo dei sandwich veloci. Con una mano impugno il tramezzino al salmone e sbocconcello avidamente. Con l’altra annoto i codici di ogni pezzo scelto, con descrizione e riferimenti per quanto riguarda tessuto e colore.

Scoppia d’improvviso l’iridescente bolla di sapone. Il soggiorno sul pianeta Fru-Fru si conclude alle 19.00. Alle 19.25 metto piede in negozio, stralunata. Galoppo verso il bagno con uno scatto degno di Livio Berruti ai tempi d’oro, ma non faccio in tempo. Una cliente mi blocca e trattengo, ancora, una pipì di dodici ore.

La sera arrivo a casa distrutta. Davanti a un succulento passato di verdura, mi affretto a salpare per i confusi oceani di Internet per capire come funziona questo mondo di bolle di sapone e scarpette di cristallo. COME SI FA? COME?

In questa giornata di trame e di nuance, sogno l’effimero incanto del regno della MODA.

Ma ecco, ora con uno schiocco di dita mi sono svegliata dall’ipnosi. 2016, rieccomi qui. Esco dal negozio e torno alla mia vita. Ma un po’ più sorridente, un po’ più lieve.

E a voi, care sognatrici, cosa succede quando entrate in un bel negozio e respirate quei peccaminosi effluvi?

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